In termini adattativi, ci sono buoni motivi per evitare di interagire con i corpi dei propri simili deceduti, primo tra tutti: evitare la trasmissione di possibili malattie. Eppure, in diversi animali (tra cui cetacei, primati ed elefanti), lo sviluppo di legami affettivi profondi, la presenza di sentimenti, di autocoscienza, nel contesto di una complessa vita sociale, caratterizzata da un grandissimo e duraturo investimento nelle cure parentali, hanno fatto emergere alcuni straordinari comportamenti di vicinanza ai morti e di espressione individuale e sociale del lutto. Le funzioni sociali di questi comportamenti, potrebbero essere così forti da controbilanciare gli eventuali rischi.
Non è un caso che il modo in cui gli animali non umani si approcciano ai loro morti, sia comunemente considerato lo specchio della loro complessità sociale, cognitiva ed emozionale.
Non abbiamo ancora capito se gli elefanti comprendano concettualmente la morte allo stesso modo degli umani, e questo è un aspetto probabilmente inconoscibile. La cosa evidente, sulla base dei comportamenti osservati, è che sperimentino emozioni complesse connesse alla perdita e che queste abbiano mediato l’evoluzione di rituali apparentemente molto rilevanti nella vita dei pachidermi viventi.
Per quel che riguarda gli elefanti africani, le osservazioni nel merito sono state moltissime, già a partire dagli studi di Douglas-Hamilton negli anni ’70 del Novecento: i loro comportamenti di interazione, con i resti dei propri defunti, vanno dal trasporto alla copertura dei corpi con rami/fronde, dalla contemplazione all’esplorazione tattile e olfattiva delle ossa, ed altro ancora. Una cosa interessante è che questa diversificazione comportamentale potrebbe essere influenzata dalle diverse culture matriarcali di ogni mandria. La conoscenza stessa della posizione geografica dei resti è trasmessa culturalmente, dagli individui più maturi ai più giovani.
Nonostante siano stati meno studiati da questo punto di vista, sappiamo che anche negli elefanti asiatici (Elephas maximus) sono presenti comportamenti correlati al lutto.
Uno studio molto recente si è occupato proprio di analizzare un particolare unico della specie asiatica: la sepoltura in terra dei cuccioli (anche detti “vitelli”) dopo la morte.
La ricerca ha documentato il comportamento in 5 diversi casi, nel contesto delle coltivazioni di tè del Bengala settentrionale. In tutti e cinque, successivamente al decesso, il corpo dei piccoli (di età compresa tra 3 e 12 mesi) veniva trasportato dalle madri, con l’aiuto della proboscide, verso aree rurali isolate, lontane da strade, città e villaggi. In queste zone, la scarsità di predatori, e l’assenza di foreste, rendono il trasporto e i comportamenti successivi più semplici. I corpi possono essere trasportati in questo modo a distanze notevoli, anche per giorni, e la madre in lutto viene accompagnata dal suo gruppo (analogamente ad un corteo funebre).
I luoghi scelti per le sepolture, dalle mandrie bengalesi, corrispondevano sempre a depressioni del terreno, in particolare canali di irrigazione asciutti (un elemento assolutamente innovativo di sfruttamento dei territori naturali modificati dall’uomo).
Un dettaglio curioso è il posizionamento dei defunti in posizione supina, molto probabilmente dovuto alla forma dei canali (che non sono abbastanza larghi per ospitare il corpo in altra posizione). La sistemazione e l’orientamento dei corpi in questa postura, vedeva partecipi diversi membri del gruppo, che tenevano la testa e le zampe del piccolo con le proboscidi, con comportamenti che i ricercatori stessi hanno definito delicati, premurosi, compassionevoli. Anche la successiva copertura, con la soffice terra arata circostante, spostata e ricompattata grazie alle zampe, è stata un’opera collettiva. Un’altra conseguenza della scelta dei canali, essendo questi scavi poco profondi, è che solo la testa e il corpo vengono completamente ricoperti di terra, mentre le zampe sono lasciate scoperte.
Gli agricoltori che hanno assistito a questi rituali, hanno riferito agli scienziati che, prima di riprendere il cammino sulle loro rotte, le mandrie emettevano forti vocalizzazioni (sia barriti sia richiami a bassa frequenza), per circa 30-40 minuti. Questo comportamento comunicativo potrebbe essere sia una sorta di canto funebre, attraverso cui gli elefanti si conforterebbero a vicenda, sia una forma di minaccia verso i carnivori (e gli umani) che occupano l’area, funzionale a tenerli lontani dal luogo di sepoltura.
Sebbene in un altro caso, non direttamente osservato durante lo studio, una mandria sia rimasta per più di quattro ore vicino al defunto (molto probabilmente perché l’area non era disturbata dalla presenza di esseri umani) e sia ritornata sul luogo più e più volte nelle settimane/mesi successivi, nei 5 casi studiati nel Bengala settentrionale l’allontanamento è stato relativamente rapido e apparentemente definitivo. Dalle testimonianze degli agricoltori e dallo studio delle tracce nell’area, i ricercatori hanno infatti dedotto che le mandrie abbiano sempre evitato il percorso precedentemente usato per arrivare al luogo di sepoltura, preferendo percorrere rotte parallele. Questo dato è in contrasto con quanto finora osservato, in particolare nelle specie africane. Ci sembra pertanto importante sottolineare che le leggi locali impongono la rimozione delle carcasse dalle aree agricole. Non è affatto da escludere che questo provvedimento (influendo sulla presenza delle tracce olfattive) abbia giocato un ruolo nel modulare il comportamento e le rotte delle mandrie nel periodo successivo.
Ovviamente questi comportamenti aprono nuove domande sulle capacità cognitive e sociali degli elefanti asiatici: l’esistenza di rituali di sepoltura così complessi potrebbe essere intesa come un ulteriore segno della consapevolezza della morte; potrebbe svolgere funzioni sociali importanti, come rafforzare i legami all’interno del gruppo; potrebbe avere funzione consolatoria, aiutando gli altri individui a superare più rapidamente il doloroso lutto per i propri cari; potrebbe essere quindi un ulteriore indizio di capacità empatiche molto complesse (solidarietà, consolazione).
In alcune culture umane, i rituali di sepoltura sono considerati un modo per onorare i morti, per mostrare rispetto per la loro memoria. Il fatto che gli elefanti mostrino comportamenti così simili ai nostri, potrebbe essere lo specchio di un sistema di credenze specifiche che ruotano intorno alla morte.
Saranno ovviamente necessarie molte altre ricerche per comprendere appieno il significato di tutto questo, tuttavia, questa scoperta rappresenta un passo avanti importante nella nostra conoscenza degli elefanti.
Come hanno scritto Sanjeeta Sharma Pokharel e Nachiketha Sharma, coautori dello studio qui riportato: “Comprendere la risposta degli elefanti alla morte potrebbe avere effetti di vasta portata sulla loro conservazione”.
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