Partendo dall’esperienza nell’ambito delle ricerche cognitive su altre specie, in cui sono indagate/implicate abilità di scelta libera, un articolo comparso qualche anno fa su Companion Animal Psychology (“The right to walk away”) invitava a riflettere sulla necessità di riconoscere anche agli altri animali il diritto di ‘dirci di no’. Sembra una banalità ma è uno dei diritti negati più spesso agli animali domestici!
Nel momento in cui iniziamo a considerare di relazionarci con soggetti senzienti, dotati di menti, di emozioni, di capacità decisionali, desiderosi di ciò che fa loro piacere (e che non va collassato su ciò che è necessario loro per sopravvivere, né su ciò che riteniamo giusto che facciano), dobbiamo necessariamente confrontarci con l’idea che non tutto ciò che pianifichiamo per loro, proponiamo loro, preferiremmo per loro, coincide sempre con ciò che loro hanno intenzione di fare ed esperire. Ovvero dobbiamo imparare ad accettare che gli animali di cui siamo responsabili non sono una nostra propaggine/estensione ma individui in tutto e per tutto… Capaci e liberi di dirci anche di no!
Capire il rifiuto a volte è chiarissimo, altre volte è una lettura meno semplice: nelle specie sociali in cui la disposizione a cooperare è alta ad esempio possono innescarsi meccanismi di ‘compiacenza’ e sacrificio individuale da parte dell’animale non umano che ci possono definitivamente trarre in inganno rispetto alle sue volontà (in altre parole l’inclinazione soggettiva può venire gerarchicamente subordinata -e quindi repressa/sacrificata- al conseguimento di un traguardo percepito come collettivo). Altre volte però il comportamento offre risposte non ambigue: se l’animale esprime chiaramente un rifiuto alle nostre richieste, dobbiamo insistere o accettare il “no”? L’esempio tipico suggerito dall’articolo è la situazione in cui si hanno amici/parenti a casa che chiedono di un animale residente (tipicamente cane, gatto, coniglio, pappagallo); l’animale richiesto, non avendo voglia di essere sociale e compiacente in quel contesto, se n’è andato in disparte nella sua zona relax o addirittura a nascondersi; il caregiver dopo averlo chiamato inutilmente va quindi ad estrarlo dal nascondiglio o prelevarlo dalla cuccia e lo porta in braccio a farsi carezzare e magari a eseguire qualche prova di obbedienza/esercizio. È giusto? È una dinamica rispettosa nei termini della relazione?
Dinamiche comparabili si manifestano in tante altre attività, quelle sportivo-agonistiche in primis, ma anche attività didattiche in ‘fattorie’ o luoghi simili (qui più tipicamente con galline, cavalli, maiali, capre, asini).
Quante volte ascoltiamo il “no” degli altri animali e abbiamo il coraggio di mettere da parte il nostro ego ed accettarlo, coerentemente ad una prospettiva di rispetto delle soggettività in relazione?
Secondo l’Etologia Relazionale® nella didattica in particolare -che non dovrebbe essere una performance, ma un momento di triangolazione- il rifiuto da parte di un animale va considerato come un’occasione e non come un’ostacolo. Lasciare ampi margini di libertà decisionale agli altri animali è ciò che ci aiuta più di tutto a far comprendere che il momento relazionale è un confronto con altre soggettività, unicità, personalità, cervelli, individui. Il rifiuto ci può aiutare anche ad insegnare che l’interazione diretta, il contatto fisico (ad es. le carezze) non sono un diktat per l’autenticità della connessione empatica. L’Etologia Relazionale® ipotizza infatti che connettersi al mondo dell’animale attraverso l’osservazione consapevole ed il rispecchiamento, sia già di per sé “Relazione”: e tra l’altro una modalità piuttosto proficua proprio perché ci invita a liberarci delle nostre aspettative ed entrare a mente libera nel mondo dell’animale (chiedendosi chi è e cosa fa in quanto “chi”).
Fatte queste considerazioni è ovvio che non dobbiamo necessariamente sentirci in dovere di abbracciare l’estremo opposto: la totale inibizione della proposta collaborativa e/o affettiva; né creare un’aspettativa uguale e contraria: che gli animali con cui viviamo non vogliano avere mai niente a che fare con noi o che non abbiano mai bisogno di essere guidati.
La riflessione generale è un utile esercizio di autoconsapevolezza che ci deve indurre ad interrogarci di più, ad ascoltare meglio (più empaticamente) le altre specie ed essere più consapevoli riguardo la capacità delle nostre aspettative di annebbiare la comunicazione e ostacolare la libertà di espressione comportamentale ed emozionale degli altri soggetti con cui interagiamo.