“…questi splendidi animali si sono evoluti in milioni di anni sviluppando un corpo adatto a nuotare in mare aperto. Sconfinate distanze. Immersioni profonde. Salti acrobatici. Orientamento nel blu profondo senza nessun riferimento, muovendosi senza esitazioni in tre dimensioni attraverso un sistema unico e magnifico come l’ecosonar. Sanno comunicare tramite un linguaggio che non comprendiamo ancora ma certamente è complesso quanto le loro strutture sociali. Sono legati e collegati da rete di relazioni e possiamo supporre da intense emozioni.
Gli elementi che concorrono a sviluppare una struttura emozionale sana e capacità empatiche equilibrate sono principalmente due: l’ambiente in cui gli animali crescono e le relazioni che stabiliscono con gli adulti del gruppo e in particolare il legame con la mamma. Provochiamo una profonda diminuzione delle dotazioni empatiche del cucciolo, e con buona probabilità mettiamo le basi perché la mente e l’affettività di quell’animale crescano disturbate, se interrompiamo questi legami. Esattamente come nel caso dei bambini, questo tipo di trauma in età infantile può condurre con notevole probabilità a comportamenti violenti. La distruzione del legame con la madre e con il resto del gruppo interferisce fortemente con l’eventualità che in età adulta questi animali siano soggetti equilibrati e sani a livello mentale.
Cosa facciamo noi esseri umani? Noi, specie Homo sapiens sapiens, animali che pretendiamo di auto collocarci in cima alla scala evolutiva (per inciso non esiste nessuna scala!)? Prendiamo questi magnifici esempi di biodiversità e li rinchiudiamo in vasche che se va bene sono profonde 5 metri e larghe 20. Li addestriamo (parola che scegliamo di non usare nemmeno più con i nostri amati cani). Li allontaniamo dal loro ambiente e li chiudiamo in un carcere dove devono esibirsi per noi. Senza spazio. Senza la loro comunicazione. Senza che la loro vita abbia un senso in relazione al loro gruppo. Li priviamo delle loro famiglie, dei legami, del collegamento con la loro natura di mammiferi marini. Li strappiamo dal mare. E chiamiamo questi abomini parchi acquatici? Abbiamo dalla nostra parte un potere enorme: la scelta. Possiamo scegliere di parlare con competenza e responsabilità di questo argomento diffondendo le corrette informazioni riguardo a queste strutture. Possiamo scegliere di non portare i nostri figli nei parchi acquatici…”
Questo articolo è un estratto del libro: “Un Viaggio nell’Etologia Relazionale”
Per approfondimenti, consigliamo inoltre il docufilm “Blackfish”