Nel 1964 Ruth Harrison pubblicava un libro intitolato “Animal Machines”. Grazie alle sue dettagliate e vivide descrizioni, l’allevamento intensivo veniva svelato al grande pubblico, per la prima volta, in tutta la sua aberrazione. Grazie a questa nuova consapevolezza sulla condizione animale nella grande produzione zootecnica, si apriva così il grande dibattito sul benessere (welfare) degli animali -ancora oggi vivissimo- da cui nacquero, successivamente all’investigazione del prof. Roger Brambell negli allevamenti del Regno Unito, le cosiddette “Cinque libertà”. Tuttora alla base di ogni valutazione sul welfare animale, le cinque libertà prescrivono:
Il rispetto delle Cinque Libertà è fondamentale ma è sostanzialmente teso a limitare la sofferenza piuttosto che dare agli animali un buon ambiente in cui vivere (perfino una prigione potrebbe rispettare questi criteri). Per questo motivo il Farm Animal Welfare Council ha rivisitato questi standard nel 2009 e ha posto una nuova domanda che ha cambiato il modo in cui pensiamo al benessere degli animali:
“Questo animale ha una vita degna di essere vissuta?”
La domanda, importantissima e difficile, ci fa capire che non è più sufficiente sapere se un animale sta soffrendo o meno: dobbiamo anche sapere se è felice. Ma in assenza di un grande sorriso a trentadue denti o di una coda agitata, come possiamo cogliere la felicità di un animale? Per esempio, come sappiamo se un POLLO è felice?
Gli animali che hanno espressioni facciali e corporee molto ricche o per certi versi simili alle nostre ci facilitano il compito. Sappiamo che i cani sono più felici quando agitano la coda verso destra, che i topi ridono quando sono solleticati, sappiamo quali smorfie (grimace) facciano topi, ratti, conigli, gatti, cavalli, pecore, eccetera, quando sentono dolore e sappiamo anche classificarle per gradi (grimace scales). Tuttavia non abbiamo ancora indicatori di comportamento per tutti gli animali allevati e paradossalmente mancano per l’animale più allevato al mondo: il gallo domestico. Anche per il pollo esistono ovviamente indicatori comportamentali della sofferenza ma ad oggi non sono riconosciuti marker comportamentali “della contentezza” che siano ufficialmente accettati.
In Etologia Relazionale® insegniamo che un modo utile per monitorare il benessere potrebbe essere, ad esempio, identificare i comportamenti di gioco. Sappiamo che gli animali non giocano quando il cibo è scarso, quando sono feriti o spaventati. Nei bambini, l’assenza di gioco è uno dei sintomi principali della depressione. La base per la comparsa dei comportamenti ludici è quindi l’assenza di distress conici, il che fa del gioco un criterio di valutazione del wellbeing molto importante. Inoltre il gioco non è solo assenza di sofferenze, è un’attività auto-gratificante: gli animali giocano perché giocare fa stare bene, perché il gioco è collegato a emozioni positive che esso stesso alimenta.
I comportamenti ludici nei giovani polli sono stati descritti per la prima volta negli anni ’50 e ’60 e come negli altri animali comprendono comportamenti locomotori, interazione con oggetti e interazioni sociali, tipicamente decontestualizzati, caotici, incompleti ed esagerati. Chiunque abbia cresciuto dei pulcini conosce benissimo queste espressioni comportamentali! Nel gioco locomotorio i polli corrono a tutta velocità sbattendo le ali e cambiando rapidamente direzione. Assomiglia ad una fuga ma è assolutamente immotivata, improvvisa e caotica. È un comportamento contagioso e, una volta iniziato da uno, ci sono buone probabilità che tutti gli altri polletti vicini lo imiteranno scorrazzando velocemente ad ali spiegate senza una direzione. Durante le corse a volte si scontrano e fanno un passo indietro e così iniziano i giochi sociali che, come nei cuccioli di mammifero, imitano precocemente i display e le lotte: i polli si sollevano impettiti, con le piume del collo sollevate e si ‘affrontano’ con faccia a faccia con piccoli balzelli buffissimi. Durante il gioco non si colpiscono mai, è tutto un bluff, che può facilmente essere distratto (perché non realmente motivato) e ritrasformarsi in corsa o altro. Esistono resoconti di questo tipo di gioco in numerosi animali tra cui cani, gatti, cavalli, capre, maiali, foche, scimmie, vitelli, lupi e molti altri.
Nel gioco con oggetti spesso i pulcini raccolgono qualcosa da terra che di solito ha la forma di un bastoncino, o di una stringa, e corre portandolo nel becco e facendo una serie di chiassosi pigolii finché altri polli non lo inseguono. L’oggetto viene rubato e rincorso fino a quando l’ultimo perde interesse. Inizialmente si pensava che fosse solo un comportamento di competizione alimentare, ma i pulcini fanno questo gioco anche quando sono stati allevati in totale isolamento e inoltre i rumori distintivi di questo tipo di gioco non sono certo un buon modo per nascondere qualcosa di gustoso, ma semmai un richiamo coinvolgente. Inoltre il comportamento è assolutamente indipendente dalla fame e viene espresso anche da pulcini sazi che rifiutano ulteriore cibo. Il gioco con oggetti può anche essere indipendente dall’interazione sociale e può essere espresso in solitudine verso rametti, fili d’erba e cordini con cui fare il tiro alla fune.
Tutti questi comportamenti di gioco possono dirci molto sullo stato emotivo dei giovani polli, della qualità del loro ambiente. Forse il gioco non è l’unico indicatore indagabile per il wellbeing dei polli ma è certamente un buon punto da cui far ripartire la gestione e la ricerca per garantire ai polli “una vita degna di essere vissuta”.