Sebbene oggi molte specie siano in declino a causa dell’espansione delle nicchie umane, altre prosperano negli habitat alterati dall’uomo proprio approfittando delle nuove risorse e opportunità associate all’attività antropogenica. Quest’ultime sono quelle che entrano più spesso in contatto con gli umani e trattate di conseguenza come disturbo e/o minaccia: sempre più spesso nell’ambito della gestione faunistica e della conservazione vengono utilizzate per indicarle diciture quali “specie problematica” o “esemplare/individuo problematico”. Nella relazione con gli animali selvatici si sta delineando quindi una situazione paradossale da un punto di vista eto-eco-evolutivo: i tratti cognitivi e le tendenze evolutive più utili per l’adattamento rapido ai nuovi ambienti (in questo particolare caso a quelli urbani), paradossalmente rendono gli individui che li esibiscono più suscettibili di entrare in conflitto con l’uomo e quindi perire (esempi di conflitto includono la predazione su specie domestiche, danni a colture, danni alle abitazioni, furto di cibo e oggetti personali, collisione con veicoli, trasmissione di zoonosi e uccisione di esseri umani). Nei contesti antropizzati abilità cognitive come la capacità di innovazione e la flessibilità comportamentale possono quindi essere contemporaneamente una causa naturale di successo e una causa relazionale di scontro ed eliminazione degli individui più intelligenti, creativi e plastici rispetto ai mutamenti rapidi e in generale evolutivamente più adatti rispetto ad un contesto ambientale che si sta modellando sempre di più sull’impronta delle pressioni umane.
La ricerca in ecologia comportamentale ed etologia cognitiva, in particolare negli ultimi decenni, e spesso in relazione alla biologia della conservazione, si è focalizzata su come gli animali rispondono ad ambienti nuovi e/o mutevoli, con particolare attenzione agli habitat urbani. Vivere in una città, o sfruttare altri habitat disturbati dall’uomo, come i campi coltivati, richiede agli animali di rispondere a un certo numero di nuove sfide. Ad esempio, per sopravvivere in ambienti urbani, gli animali devono localizzare e sfruttare nuove risorse alimentari, preoccuparsi di nuovi predatori e competitori, sviluppare diverse strategie di mappatura e navigazione, affrontare ostacoli difficili come strade e recinzioni, superare elevati livelli di inquinamento acustico e luminoso. Da un punto di vista evoluzionistico tutto questo rientra nel merito della cosiddetta ‘Ipotesi del buffer cognitivo’ che propone che l’aumento di dimensioni dei cervelli evolva quando la produzione varia e abbondante di risposte comportamentali innovative, creative, plastiche e flessibili sia favorita per selezione naturale da ambienti nuovi o estremamente mutevoli (qualità tipiche degli ambienti umani). Animali con dimensioni relative del cervello più grandi si mostrano infatti più capaci e complessi in questi domini cognitivi rispetto ad animali con dimensioni cerebrali relative più piccole, e recenti lavori scientifici hanno dimostrato che gli animali ‘urbani’ hanno tassi di innovazione comportamentale e capacità di problem solving più elevati rispetto ai conspecifici ‘rurali’. L’inurbamento si pone quindi come contesto selettivo per l’incremento di capacità cognitive.
In uno studio pubblicato su Animal Behaviour (“The cognition of ‘nuisance’ species”) sono state prese in esame le principali dotazioni cognitive necessarie (quindi favorevolmente selezionate) per l’adattamento agli ambienti antropizzati e in generale al disturbo antropogenico. Tra queste la flessibilità comportamentale sappiamo essere uno dei più importanti facilitatori di espressioni innovative ed è definita come la capacità di un individuo di alterare il suo comportamento in risposta agli ambienti in evoluzione e di inibire comportamenti non più utili nonostante si fossero dimostrati precedentemente vincenti. Questa capacità predice il successo degli animali nell’occupazione di nuove aree, un successo che è direttamente proporzionale ad una frequenza più elevata di innovazioni. Anche la neofilia (attrazione per le novità) è probabilmente una componente critica del successo degli animali in paesaggi alterati dall’uomo. Ad esempio la neofilia in risposta a nuove risorse alimentari può facilitare l’espansione in nuovi ambienti e la persistenza nelle aree urbane. Gli ambienti umani possono quindi portare ad una maggiore diffusione di comportamenti neofili nelle specie selvatiche a stretto contatto, con conseguenze non sempre felici per gli animali. Ad esempio, nei kea (Nestor notabilis), una specie di pappagalli estremamente neofila e propensa al gioco con oggetti nuovi, la frequentazione degli ambienti umani ha favorito la loro capacità di aprire auto, bidoni della spazzatura e altri oggetti. Queste innovazioni spesso dannose per le proprietà umane, hanno acuito la percezione di conflitto portando all’uccisione di molti tra questi meravigliosi uccelli. Similmente, l’attrazione dei macachi (Macaca fascicularis) verso gli oggetti umani ha favorito la comparsa di interazioni nuove quali il furto e il ricatto. Molti macachi hanno infatti imparato a restituire gli oggetti rubati in cambio di cibo. Il risultato di questa estrema dimostrazione di furbizia si risolve spesso nella perdita o distruzione di proprietà di valore per l’uomo o in interazioni violente con conseguenti ferite (in particolare ferite da morso sull’uomo). La capacità di categorizzazione può aiutare le specie a prosperare nelle aree urbane consentendo per esempio di imparare la differenza tra esche avvelenate e risorse alimentari sicure o tra tipologie umane pericolose e neutrali. Le specie del genere Rattus sono in grado di categorizzare oggetti e suoni in base alle loro caratteristiche. Alcuni insetti, comprese le api domestiche, sono in grado di classificare gli odori e colori attraverso semplici forme di apprendimento delle regole. L’apprendimento della discriminazione consente agli animali di identificare i singoli umani che rappresentano una minaccia, sulla base di precedenti interazioni. Alcuni animali sono capaci di identificare gli umani in base al viso (ad es. piccioni, pecore, taccole) e possono anche classificare i gesti umani come minacciosi o sicuri. Gli elefanti possono imparare a identificare i bracconieri in base al loro odore, indumenti, segnali acustici, età, sesso ed etnia e utilizzare tali informazioni per evitare diverse minacce a seconda dell’esperienza. Sorprendentemente, questa capacità cognitiva può essere inerente o rapidamente acquisita anche in specie che hanno avuto poca esperienza con gli umani. Ad esempio gli skua (Stercorarius antarcticus), una specie antartica con esposizione minima agli esseri umani, imparano rapidamente a dirigere gli attacchi verso gli umani minacciosi e a tollerare gli umani non minacciosi. La creatività può aumentare la capacità di un individuo di modificare o espandere la sua nicchia ecologica portando all’occupazione con successo di nuovi ambienti. Questo perché l’innovazione consente agli animali di risolvere nuovi problemi, aprendo così nuove strade per la sopravvivenza in ambienti altrimenti difficili. Risolvere problemi in un ambiente antropizzato implica tipicamente lo sfruttamento di risorse umane e crea intrinsecamente conflitto con gli esseri umani. L’apertura delle bottiglie del latte da parte delle cince è un classico esempio di foraggiamento innovativo e conflittuale che si è verificato in un ambiente urbano. Esempi simili di innovazione riportate nella letteratura etologica sono l’apertura delle bustine di zucchero dei bar da parte delle manorine chiassose (Manorina melanocephala) e dei ciuffolotti delle Antille (Loxigilla spp.); la raccolta di insetti morti dalle targhe delle auto da parte dei gracchi messicani; lo sfruttamento delle mangiatoie per uccelli da parte degli scoiattoli grigi; molti mammiferi carnivori, tra cui iene maculate (Crocuta crocuta), orsi (Ursus spp.) e procioni (Procyon lotor) si sono dimostrati abili nel foraggiamento estrattivo da contenitori, dispense, strutture. Gli sforzi di mitigazione per escludere dalle proprietà questi animali creano essenzialmente ulteriori nuove sfide, su cui gli individui innovativi possono successivamente impegnarsi ulteriormente al fine di risolvere lo scacco, incrementando così le loro conoscenze e capacità di problem-solving. Ad esempio, le recinzioni elettriche sono comunemente usate per prevenire l’entrata degli elefanti del bush africano (Loxodonta africana) nei villaggi o l’uscita dalle aree protette, ma conseguentemente alla loro installazione alcuni individui sono stati osservati raccogliere tronchi d’alberi o usare le loro zanne per spostare (abbassare) o rompere i fili conduttori in modo da passare senza ricevere una scossa elettrica. La costruzione di barriere fisiche in alcuni casi può inoltre risolvere il conflitto con una specie e contemporaneamente esacerbarlo con un’altra. Ad esempio uno studio sulla depredazione di bestiame da parte di carnivori africani, riporta che l’utilizzo di palizzate in legno aveva ridotto gli attacchi delle iene, ma raddoppiato la probabilità di attacchi di leopardi (Panthera pardus). Viceversa le recinzioni fatte di siepi riducevano gli attacchi di leopardo ma erano inefficaci contro le iene, che erano in grado di spingersi attraverso la fitta vegetazione. L’aumento dell’esposizione a stimoli pericolosi introdotti dall’uomo, come tossine o trappole, può rafforzare la capacità degli animali di eluderle tramite l’apprendimento. L’esposizione ripetuta ai luoghi, agli odori e ai suoni di origine antropica porta inoltre ad abituazione o sensibilizzazione agli umani. La sensibilizzazione porta gli animali ad essere più elusivi ed evitare più efficacemente le interazioni pericolose con l’uomo (anche contestualmente e congruentemente a comportamenti periodici dell’uomo come gli sport venatori), mentre l’abituazione consente agli animali di imparare a vivere in stretta prossimità con gli umani, aumentando il potenziale di conflitto. Molti studi hanno confermato che gli individui che vivono in ambienti urbani esibiscono tassi più rapidi di assuefazione e quindi una maggiore tolleranza verso gli umani rispetto alle loro controparti rurali. Ad esempio nelle città la fauna selvatica aumenta il comportamento di accattonaggio, furto diretto (cleptoparassitismo) e aggressione verso l’uomo. Poiché la strategia di furto è estremamente conveniente in termini di trade-off energetico, potrebbe esserci una correlazione tra la comparsa di comportamenti innovativi di cleptoparassitismo ed evoluzione cerebrale. Varie forme di memoria sono messe in gioco per il successo negli ambienti umani. La memoria spaziale è importante per la navigazione nei complessi spazi cittadini. Carnivori urbani, come procioni e tassi (Meles meles) possono localizzare rapidamente una nuova fonte di cibo e da quel momento in poi ricordarne la posizione. La memoria spaziotemporale consente previsioni basate sui comportamenti di routine degli esseri umani, come ad esempio la raccolta dei rifiuti o la manutenzione di mangiatoie. I membri della famiglia Corvidae dimostrano l’uso di memoria episodica (cosa-dove-quando), così come anche altre specie spesso a contatto con l’uomo, compresi ratti, cinghiali (Sus scrofa) e scimpanzé (Pan troglodytes). Alcuni hanno inoltre imparato a usare ponti ed evitare autostrade. Gli scimpanzé in Uganda hanno imparato a guardare a destra e a sinistra prima di attraversare le strade che sanno essere più a rischio di collisione con veicoli in transito. Poi c’è da tenere conto dell’apprendimento sociale: un molte specie gli individui imparano i propri comportamenti da altri, e quindi la trasmissione culturale diventa un importante fattore di adattamento nella nicchia umana. I delfini tursiopi possono imparare dai conspecifici a nutrirsi di pesce dalle reti dei pescherecci (comportamento che risulta conflittuale verso i pescatori e pericoloso per i delfini per il rischio di impigliarsi). Anche lo sfruttamento delle colture da parte degli elefanti, degli scimpanzé, dei babbuini o delle oche zamperosee (Anser brachyrhynchus) sembra essere in buona parte trasmesso socialmente. I corvi dimostrano trasferimento orizzontale delle informazioni su esseri umani pericolosi e imparano a evitare luoghi e volti umani associati a conspecifici morti. Il comportamento sociale può favorire anche altre strategie: gli animali che si impegnano in gruppi di raccolta e razzia delle aree urbane possono beneficiare del comportamento di sentinella, in cui un individuo vigile avvisa il resto del gruppo di una minaccia, come un essere umano nelle vicinanze o un cane domestico. L’intelligenza sociale di alcuni corvidi, che è naturalmente impiegata per dissimulare, nascondere le proprie scorte di cibo da altri conspecifici o per rubare quando inosservati, è utilizzata similmente anche nell’interazione con l’uomo per eludere la sorveglianza umana e sfruttare di nascosto le risorse dell’ambiente domestico.
In conclusione… In una realtà di espansione delle nicchie umane sempre più aggressiva, di progressiva eliminazione degli ambienti naturali in favore di abitati e colture, di drastica, rapida e continua trasformazione degli ambienti, le straordinarie risorse cognitive e la plasticità comportamentale degli animali sembrerebbero essere l’unica e ultima risorsa per sopravvivere all’estinzione. Tuttavia, per assurdo, le strategie resilienti che sono manifestazione di queste abilità sono anche la principale causa di conflitto (reale o percepito) con l’uomo: gli individui che mostrano più spiccate capacità di adattamento, rappresentando quindi un bacino evolutivo importante per il futuro delle specie animali nell’Antropocene, sono gli stessi che in termini gestionali vengono indicati come “problematici” e quindi selezionati per l’abbattimento. Se da un lato la necessità di mitigazione dei conflitti rimane del tutto comprensibile, in una prospettiva biocentrica dobbiamo pensare molto bene a quali metodi siano compatibili al futuro degli ecosistemi naturali che stiamo modificando così brutalmente e alle specie che li abitano, con cui sempre più spesso ci ritroviamo a convivere. L’idea che le nostre società possano continuare a crescere e contemporaneamente coesistere con popolazioni animali innocue perché incapaci di ritagliarsi uno spazio adattativo nell’ambiente umano suona tanto come la proverbiale botte piena con la moglie ubriaca. Strategie relazionali, di gestione e conservazione, non possono più esimersi dal tenere conto della valutazione comportamentale e cognitiva delle specie animali, nonché dei potenziali evolutivi in gioco, messi a rischio da una prospettiva miope e antropocentrica dell’evoluzione ecosistemica.