In alcune specie di primati e di uccelli, gli etologi hanno osservato e verificato l’esistenza di specifici richiami di allarme (che hanno funzione di avvertirsi reciprocamente) che cambiano a seconda del predatore avvistato: ognuno di questi richiami corrisponde quindi a una (e una soltanto) categoria di minaccia. Chi riceve l’allarme si comporta in maniera congrua al tipo di minaccia che esso indica: ad esempio sfruttando le verticalità per fuggire da un predatore di terra o nascondendosi tra la vegetazione a terra per evitare un predatore in volo. È facile intuire che questo tipo di comunicazione sia molto interessante per lo studio dell’evoluzione del linguaggio e possa ragionevolmente rappresentare un precursore del nostro modo di comunicare.
Uno studio del 2014 condotto in una riserva del Kenya ha dimostrato che anche gli elefanti africani (Loxodonta africana) possono usare le vocalizzazioni per avvertire i propri simili di uno specifico pericolo.
Per mettere alla prova le capacità comunicative dei pachidermi, i ricercatori hanno registrato e riprodotto i suoni di minacce diverse per osservare e registrare a loro volta le risposte degli elefanti. Uno degli stimoli acustici utilizzati era la registrazione del vociare degli uomini membri della tribù Samburu, che spesso hanno scontri con gli elefanti. Un secondo stimolo era rappresentato dalla registrazione dei ronzii di uno sciame di api africane.
In risposta ad entrambi gli stimoli acustici, gli elefanti hanno mostrato un incremento nei comportamenti di vigilanza (alzare la testa, annusare l’aria) e l’allontanamento dalla fonte del rumore.
Le strategie difensive nel dettaglio presentavano però interessanti diversità: con la riproduzione delle voci dei Samburu, gli elefanti si allontanavano a distanze sensibilmente maggiori. In risposta al ronzio delle api invece, mentre si allontanavano, gli elefanti scuotevano la testa, presumibilmente per tenere lontani gli insetti e i loro pungiglioni dalle aree più sensibili del corpo (occhi, bocca, orecchie, proboscide).
A livello vocale gli elefanti rispondevano ai pericoli emettendo frequenti brontolii (rumble), che nel caso delle api sono proseguiti a lungo dopo l’interruzione dello stimolo acustico. Quando sono stati analizzati, le vocalizzazioni rispettive per le api e per la tribù Samburu sono risultate uniche e molto diverse.
Per verificare se i singoli brontolii fossero realmente indicativi del tipo di minaccia, i ricercatori li hanno allora riprodotti singolarmente per osservare le reazioni degli elefanti. I comportamenti in risposta alle comunicazioni registrate sono risultate effettivamente congrue al contenuto ipotizzato: ad esempio con i brontolii dell’allarme ‘api’, gli elefanti si allontanavano scuotendo la testa. I pachidermi comprendevano quindi che cosa ogni vocalizzazione tentasse di trasmettere e rispondeva in modo appropriato.
Questa ricerca fornisce affascinanti approfondimenti sulla cognizione dell’elefante e sul comportamento sociale, ma ha anche alcune implicazioni pratiche di conservazione. Il suono delle api può essere infatti un sistema non violento di evitamento dei conflitti nelle zone coltivate dell’Africa.
[Foto di Damiano Luchetti – Public domain, Wikimedia Commons]